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Quando qualcuno mi
chiede di descrivere come fossero i rally degli anni settanta, la
prima cosa che mi viene in mente di dire è che erano tutta un'altra
cosa rispetto ai rally attuali. Il concetto di fondo è rimasto lo
stesso, cioè correre con macchine di serie su strade normali; il
resto però è cambiato. I rally dell'epopea romantica - come ho
ribattezzato le gare degli anni settanta - erano soprattutto poesia.
Era bellissimo vedere correre delle macchine che erano molto simili
alle auto di tutti i giorni, impegnate in evoluzioni che sfidavano
le leggi della fisica e che strappavano applausi ed urla di gioia
agli appassionati. I rally degli anni settanta erano
improvvisazione; piloti che si inventavano curve e traiettorie
impossibili pur di far camminare a più non posso macchine che
avevano si e no centoventi - centocinquanta cavalli e che dopo pochi
chilometri avevano i freni inservibili; e magari dovevano percorrere
ancora molta strada su tracciati che erano poco più che mulattiere.
E poi i piloti. Erano personaggi molto particolari; spesso erano
meccanici o camionisti, persone abituate ad inventarsi la strada man
mano che la percorrevano. Gente che buttava il cuore oltre
l'ostacolo; gente che aveva un gran piede ma anche un cervello fino,
capace di trarsi d'impaccio nei momenti più disperati. Gente che
amava la buona vita; durante le ricognizioni li potevi trovare ai
bar di paese e metterti a parlare con loro. Era gente di compagnia e
molto cordiale, gente vera e sanguigna che quando montava in
macchina, magari dopo una lauta cena fra amici, si trasformava in
maghi della guida di traverso e delle velocità impossibili. I rally
degli anni settanta erano gli odori delle benzine ricinate, delle
frizioni bruciate, dei ferodi surriscaldati, delle salsicce arrosto
e del vino. Erano i rally dell'elettronica-questa-sconosciuta, dei
differenziali meccanici e degli autobloccanti che spaccavano le
braccia. I rally degli anni settanta erano i rally della musica: si
poteva sentire il canto del quattro cilindri Abarth che spingeva sia
le Fiat 124 che le Fiat 131; l'urlo sguaiato del sei cilindri
Ferrari che muoveva la fantastica Lancia Stratos dalla notevole
potenza - per il tempo - di 240 cavalli; il sommesso borbottio del
sei cilindri di Stoccarda che era il cuore pulsante delle Porsche in
tutte le loro evoluzioni e modelli. Ma i rally degli anni settanta
erano soprattutto lunghe gite dal sapore zingaresco, passate nel
rincorrere i piloti da una prova speciale all'altra, in zone fuori
mano, con l'unico ausilio di una cartina spesso imprecisa che ti
faceva attraversare posti fantastici, dove, se non fosse stato per
la corsa, mai nessuno sarebbe andato. I rally degli anni settanta
erano salsicciate attorno a un falò improvvisato per scaldarsi dal
freddo pungente delle notti primaverili. Si! Cari miei, i rally in
quel periodo erano soprattutto di notte e nessuno si scandalizzava o
storceva il naso di correre o veder correre al chiarore dei Cibié o
dei Carello Megalux, che tagliavano il buio con le loro sciabolate
luminose. I rally degli anni settanta erano due pagine di Burlando
su Autosprint, accompagnate da due o tre istantanee, in bianco e
nero, di Attualfoto o di Belle Epoque. Le foto a colori, forse,
venivano pubblicate sul numero successivo. Ma erano soprattutto i
rally dove uno che aveva piede e cervello, con una buona macchina,
poteva sbaragliare il campo e mettere in crisi i piloti ufficiali.
Ora non è più così: i rally attuali sono un'altra cosa.
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